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Marco! Marco!
Mi risvegliai di sobbalzo nel pieno della notte mentre Marisa sussurrava il mio nome insistentemente facendo attenzione a non svegliare tutto l’accampamento RiG.
Uscii velocemente dalla tenda, infilandomi una felpa per mitigare l’arietta gelida, mentre venivo messo al corrente che Luca, uno dei tanti ragazzi presenti al campo, aveva la febbre e farneticava nella sua tenda.
La prima cosa che facemmo fu quella di traslocare il suo compagno in un’altra tenda in modo che potesse continuare indisturbato a dormire.
Poi, preso il termometro, misurammo la febbre al ragazzo, e mi resi conto della gravità della situazione dallo sguardo allibito e spaventato di Marisa mentre leggeva la temperatura sulla scala graduata. Dopo aver visto la linea rossa arrivare al massimo superando i 42°, rimasi terrificato anche io. Provammo di nuovo, per verificare che non ci fosse un errore, ma il risultato non cambiò.
Non avendo ghiaccio a disposizione, lo tirammo fuori dal sacco a pelo per cercare di far abbassare la temperatura corporea, e dopo avergli somministrato della tachipirina, senza pensarci un attimo, ci ritrovammo entrambi a pregare il Signore perché intervenisse…. poche parole: “Gesù pensaci tu, vieni in nostro soccorso”.
Al termine della brevissima preghiera riprendemmo il termometro e con nostro immenso stupore la temperatura in pochi istanti era scesa a 38°.
La nostra esclamazione di gioia fu un accorato: Alleluia!!
Appurato che non poteva essere l’effetto della medicina appena ingerita o dell’aria fresca della notte, ringraziammo il nostro Signore per il suo immediato intervento e per la serenità che ci stava trasmettendo nonostante tutto. Il pensiero che aggravava la situazione era constatare che eravamo sperduti in fondo alla valle Maira, località “Pont d’la Ceina”, in un campeggio isolato a 3 km dal piccolo comune di Prazzo.
A quel punto, svegliato qualche altro responsabile, bisognava prendere una decisione, perché anche se la febbre si era abbassata, non eravamo tranquilli, bisognava comprendere la causa di tutto ciò. Decidemmo quindi di chiamare un medico. Primo problema: trovare il numero.
Chiamando il numero di soccorso del 118 scoprimmo che non c’era un medico a Prazzo, ma che era presente una guardia medica a supporto di tutta la valle e che ogni notte cambiava sede, sostando di volta in volta in uno dei paesi lungo la valle. Quella notte era a Dronero, all’inizio della valle, a 30 km di distanza, e doveva essere rintracciato… rimanemmo quindi in attesa di una risposta.
Senza perderci d’animo pregammo nuovamente tutti insieme il Signore.
Dopo pochi minuti squillò il cellulare, era il medico, e dopo neanche mezz’ora era lì al campo. Tenendo conto che era notte, la valle completamente al buio, la strada piena di curve, considerammo che neanche a Milano, nella nostra città avremmo avuto un’assistenza così celere. Dopo un’accurata visita il dottore non riscontrò nulla nei sintomi avuti dal ragazzo e dalle sue rilevazioni. Alla fine del suo discorso si soffermò con un “però”… ci disse: pur non avendo trovato nulla, una febbre così alta potrebbe essere causata da un’appendicite acuta, potrebbe essere 1% delle probabilità però, anche se solo 1% io vi consiglierei di portarlo in ospedale al pronto soccorso: meglio un viaggio a vuoto che un rischio.
Così, licenziata la guardia medica io, Marisa e Luca, ci mettemmo in viaggio, senza perdere tempo, verso l’ospedale più vicino, quello di Cuneo. Dopo la solita e lunga tiritera del pronto soccorso, alle sei del mattino, arrivò il responso dei medici del reparto: Appendicite acuta in peritonite, doveva essere operato al più presto. Così avvisammo i genitori del ragazzo e restammo in attesa del loro arrivo per l’autorizzazione a procedere. Mentre aspettavamo non potemmo fare a meno di constatare quanto il Signore ci fosse stato vicino ed avesse guidato ogni istante di quella lunga notte, nel darci la saggezza nelle nostre azioni, nell’abbassare la febbre all’improvviso, fino all’arrivo della guardia medica in così poco tempo; un gentile ed umile dottore di provincia ma così scrupoloso da farci scongiurare il peggio con un’appendicite all’ultimo stadio.
Il ricordo di questa breve ma intensa avventura sfuma con l’immagine mia e di Marisa, tutt’e due con la nostra tuta/pigiama, io rannicchiato nella mia felpa e lei nel suo indimenticabile spolverino, seduti su di una panchina, in una piazza di Cuneo, aspettando che un bar aprisse per un meritato caffè, in attesa dell’arrivo dei genitori del ragazzo e del nostro rientro al campo.

Marco M.

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